Mentre vanno pian piano scemando gli echi delle commemorazioni di Silvio Berlusconi, anche noi vogliamo commemorare e onorare un grande italiano, un uomo che non è esagerato collocare fra i grandi italiani di tutti i tempi, un imprenditore che partendo dal nulla è diventato, in tutto il mondo, il simbolo dell’Italia migliore, un nome rispettato dagli avversari e venerato dai suoi ammiratori.
Parliamo di Enzo Ferrari, un uomo diventato leggenda già da vivo, un grande e vero imprenditore, uno che davvero si è fatto da sé, senza intrallazzi e appoggi politici, il creatore del marchio più famoso al mondo, più della mela della Apple, delle finestre della Microsoft, della bottiglia della Coca Cola e della M della McDonald.
Perché commemorarlo proprio in questi giorni, a trentacinque anni dalla sua morte? Perché un piccolo e sottile filo rosso lega l’uomo di Maranello all’uomo di Arcore.
Chi ha un ego smisurato non ammette che ci siano altri uguali o superiori a lui, perciò è probabile che Berlusconi invidiasse Ferrari, per i suoi successi, per la sua fama mondiale e per il rispetto di cui godeva, ma da miles gloriosus non poteva non sentirsi, a modo suo, superiore al padre del Cavallino Rampante.
Così, in un momento di crisi della Scuderia, Berlusconi – non ancora datosi direttamente alla politica, ma legato a doppio filo al trio Craxi-Andreotti-Forlani – con la consueta signorilità di modi invitò il Drake a ritirarsi.
La risposta al futuro cavaliere (poi disarcionato), Ferrari la diede in una intervista pubblicata su Autosprint del 30 settembre 1986:
«Quando nel 1919 ho iniziato questa attività, quando nel 1929 ho costituito la Scuderia Ferrari, non l’ho chiesto al signor Berlusconi. Non vedo perché dovrei ascoltarlo oggi, né mi permetto di chiedergli come va il Milan. Se Berlusconi vuole prendere il posto del Padreterno, stia tranquillo … dovrei concludere, se ha detto così di me, senza conoscermi, che lui non ne sa niente di quello che faccio io.»
Altra pasta.
Certo, non si può disconoscere che Berlusconi è stato abile, molto abile. Tuttavia quando usiamo questo aggettivo, viene istintivo pensare alle parole di Victor Hugo sugli abili: “non si dimentichi che, laddove vi è solo abilità v’è necessariamente piccolezza. Dire gli abili, è come dire i mediocri” (I Miserabili, Parte IV Libro I, “Mal cucito”).