Quando sento parlare di anarchici mi vengono in mente l’immagine, forse oleografica, di quelli che cantavano “Addio Lugano bella” e l’altra immagine, tragica, del povero Giuseppe Pinelli, ingiustamente accusato della strage di piazza Fontana e morto misteriosamente precipitando da una finestra del quarto piano della Questura di Milano.
Per questo in questi giorni ho seguito con pietà la vicenda dell’anarchico Cospito (condannato all’ergastolo per vicende in cui per fortuna non è morto nessuno), il quale sta facendo per protesta lo sciopero della fame.
Ieri, però, i giornali titolavano che Cospito non chiede l’esenzione per sé soltanto dal carcere duro, ma pretende addirittura l’abolizione del 41-bis.
Questo è inaccettabile, perché il 41-bis, - per quanto attenuato rispetto alle intenzioni originali, a seguito della vergognosa “trattativa” a cui le più alte cariche dello Stato si sono piegate in nome di un malinteso male minore - si è rivelato uno strumento formidabile contro i mafiosi, tanto da averne scatenato nel 1993 la furia stragista.
Il 41-bis non è una forma di vendetta dello Stato, ma, potremmo dire, una misura preventiva, un deterrente contro la criminalità mafiosa, e va applicato rigorosamente.
Chi lo contesta, in nome di un peloso garantismo, non si rende conto che con questo appellarsi a principi certamente nobili ma che nel contrasto alle mafie sono dannosi, fa il gioco di chi concretamente ha ucciso centinaia e centinaia di innocenti, ha avvelenato la società civile del nostro Paese e ha impedito e continua a impedire lo sviluppo delle regioni meridionali.
Quindi, GIÙ LE MANI DAL 41-BIS!