Negli ultimi giorni, su Facebook ho scambiato opinioni con numerosi interlocutori sugli anni Settanta, in particolare sul categorico marchio di anni di piombo banalmente affibbiato dai giornali, che presero in prestito il titolo di un film della regista tedesca Margarethe von Trotta.
Molti sono quelli che condividono la mia lettura positiva di quel decennio, ricordando le tante cose belle, a cominciare dalla rivoluzione musicale avviata dai grandi cantautori italiani e americani e dai grandi gruppi rock angloamericani, favorita dalla nascita delle radio libere.
Sono stati anche “anni di inclusione e solidarietà, si respirava un' aria di innovazione culturale”, ha scritto uno di coloro che hanno espresso la loro opinione.
Ma naturalmente non è mancato chi continua a considerarli soprattutto anni bui.
“Che cosa ci fosse di bello in quegli anni lo vedete solo voi... l'epoca più oscura della recente storia italiana”, ha scritto uno. E un altro ha commentato ”Sono stati anni maledetti anni di tensione di sangue da una parte e dall'altra. Altro che anni meravigliosi.”
Che ci sia stata molta, troppa violenza di matrice politica non lo discute nessuno. Io mi ribello all’enfatizzazione del “piombo”, tacendo invece dell’altro generatore di morte abbondantemente usato allora e dopo: il tritolo.
Ritengo sbagliato enfatizzare l’operato di un pugno di criminali senza alcuna speranza di successo, quali i brigatisti rossi e soci, che per di più erano un corpo estraneo non solo allo Stato che dicevano di combattere, ma anche a quegli strati sociali di cui si illudevano di essere le avanguardie.
Certo, di piombo in quegli anni in Italia ne volò parecchio, ma sarebbe più giusto ricordare che i Settanta furono solo una porzione di un periodo di tempo molto più lungo e sanguinoso, che potrebbe essere chiamato anni del tritolo, cioè i quasi venticinque anni che vanno dalla strage alla Banca dell’Agricoltura, nel 1969, a quelle mafiose del ‘92 e ’93, stragi legate da un lunghissimo filo rosso sangue, che parte da Piazza Fontana e arriva nel 1994 all’Olimpico, dove per fortuna l’attentato fallì.
Come ho scritto nel romanzo:
“Volendo fare dell’umorismo nero, si potrebbe dire che come i cinesi chiamano gli anni con nomi di animali - anno del cane, della scimmia, ecc. - noi dovremmo chiamarli con i nomi delle stragi: l’anno della strage di piazza Fontana, della stazione di Bologna, del Treno di Natale ecc.. Se così fosse, potremmo dire che il 1974, come poi il 1992, fu un anno bisestile, perché le stragi furono due: quella di maggio a Piazza della Loggia, a Brescia, e quella del 4 agosto con la bomba scoppiata sul treno Italicus”.
Ecco perché considero riduttivo criminalizzare gli anni Settanta, continuando a chiamarli anni di piombo. Perché serve solo a far dimenticare le responsabilità dei terroristi del tritolo, collusi col potere, spesso essi stessi membri del potere, che - col sangue di centinaia di innocenti - alimentarono la strategia della tensione, servendosi di frange deviate dei servizi segreti.