Come tutte le ricorrenze storiche, anche il 4 novembre viene giudicato in base ai punti di vista.
In Austria, probabilmente è una data da dimenticare. Da noi, invece, fino al 1976 è stata festa nazionale, per l’eredità della retorica risorgimentale e patriottica che imponeva di celebrare la “Vittoria” nella Prima Guerra Mondiale, una vittoria conquistata col sangue di 1.240.000 italiani, fra militari e civili.
Per chi andava a scuola, però, era davvero festa, perché era un giorno di vacanza.
Non ci soffermiamo sul significato di quella vittoria, ma a chi volesse approfondire il modo in cui fu ottenuta, suggeriamo la lettura o rilettura di due classici come “Addio alle armi” e “Un anno sull’altipiano.”
È possibile che il nuovo governo, che ha riesumato il termine “nazione”, voglia riportare in auge anche quella celebrazione. Se così fosse, l’unico aspetto positivo sarebbe la possibilità di usufruire di un bel ponte vacanziero dal 1° al 4 novembre, più eventuali sabati e domeniche.
Ma non è di questo che vogliamo parlare, bensì di un avvenimento che probabilmente è festeggiato in Iran ed esecrato negli Stati Uniti, un avvenimento che vide irrompere sulla scena politica internazionale il fondamentalismo islamico.
Il 4 novembre 1979 un gruppo di studenti musulmani integralisti, seguaci dell’ayatollah Khomeini, che a febbraio dello stesso anno aveva fondato la Repubblica Islamica, dopo la fuga dello scià, occupò l’ambasciata americana a Teheran, ponendo, senza rendersene conto, le basi di più importanti e gravi avvenimenti futuri.
Nulla cambiò, invece, nell’ex Persia, passata da una dispotica monarchia assoluta ad una ancora più dispotica dittatura clericale, come ci ricorda la durissima repressione oggi in atto contro le donne che non portano il velo e contro tutti coloro che non accettano che le norme della convivenza civica siano basate sul fanatismo religioso.
L’occupazione dell’ambasciata si protrasse per oltre un anno e influenzò il voto degli americani nelle elezioni presidenziali dell’anno successivo, quando il presidente uscente, Carter, giudicato un debole per non avere saputo gestire il problema iraniano, venne sconfitto dallo sfidante, l’ex attore Ronald Reagan, che sfoggiava atteggiamenti da duro, più consoni allo spirito di un popolo di cow boys.
Probabilmente gli americani, che non riescono a liberarsi dalla sindrome di John Wayne, continuano a considerare Carter un perdente e quindi un pessimo presidente, ma ebbe l’onore di essere insignito – nel 2002 – del Premio Nobel per la Pace, per avere favorito la stipula degli accordi detti di Camp David fra Egitto e Israele, dopo la guerra del Kippur del 1973.
La crisi dell’ambasciata ha ispirato nel 2012 il bel film Argo, diretto con maestria da Ben Affleck. Il film, vincitore di tre premi Oscar, due Golden Globe e diversi altri premi, narra la preparazione e la rocambolesca fuga di sei ostaggi americani che erano riusciti a fuggire dalla loro ambasciata rifugiandosi in quella canadese. Per portarli fuori dall’Iran la CIA organizzò l’audace piano narrato nel film Argo, piano basato sulla finta intenzione di girare in quel paese un film di fantascienza.
Un film assolutamente da vedere.