Portare l’attacco al cuore dello Stato era un vecchio slogan brigatista, il cui valore semantico sicuramente nemmeno sfiorò le menti dei mafiosi, ma crediamo che l’assassinio di Carlo Alberto dalla Chiesa abbia dato inizio alla stagione terroristica di Cosa Nostra, protrattasi fino al 1993.
Per commemorare il Generale, prendiamo in prestito alcuni passi di un romanzo il cui protagonista è un giovane siciliano che aveva seguito con rabbia e dolore lo stillicidio di omicidi che fecero da preludio a quella stagione.
« Quella sera non guardò la televisione, così solo l’indomani mattina, entrando all’edicola, apprese cos’era successo e rimase pietrificato leggendo i titoli di tutti i giornali che a caratteri cubitali annunciavano l’uccisione del Generale Dalla Chiesa.
Dopo l’assassinio di Pio La Torre, Francesco aveva seguito con crescente partecipazione gli ultimi mesi di attività e di vita di Dalla Chiesa e fu colpito non solo dall’enormità di un delitto paragonabile al sequestro e all’assassinio di Moro, ma dal salto di qualità che la mafia aveva compiuto uccidendo quello che non era semplicemente il rappresentante del Governo nel capoluogo siciliano.».
Come i brigatisti e i loro sodali, anche i mafiosi avevano in precedenza colpito uomini per loro pericolosi, per le inchieste che svolgevano o per l’opposizione e il seguito che potevano avere fra chi li contrastava. L’ultimo era stato La Torre e prima di lui erano stati uccisi magistrati, poliziotti e carabinieri, giornalisti, avvocati, che in qualche modo ostacolavano i disegni o i traffici dei criminali. Erano state colpite anche figure di alto livello gerarchico, come il Procuratore Scaglione e il presidente della Regione Mattarella, ma mai figure che, al di là del ruolo che ricoprivano, erano unanimemente riconosciute come simboli.
Ma Aldo Moro e Carlo Alberto Dalla Chiesa erano ben più che figure di spicco, perché più di chiunque altro impersonavano lo Stato; erano dei simboli di altissimo livello e - dal punto di vista dei loro carnefici - andavano eliminati affinché loro potessero trarne una legittimazione come antistato.
Così le B.R. (ammesso che agissero da sole) fecero il salto di qualità sequestrando e poi uccidendo non l’uomo di partito, ma l’ex Presidente del Consiglio e futuro Presidente della Repubblica, e i mafiosi fecero il loro uccidendo l’uomo che agli occhi degli italiani impersonava lo Stato molto meglio di numerosi politici inetti e spesso corrotti.
«Fino a sei mesi prima Francesco non avrebbe mai immaginato che la morte del Generale lo avrebbe colpito tanto e tanto lo avrebbe addolorato, che gli avrebbe fatto provare tanto sgomento e rabbia. Negli anni precedenti, infatti, era stato uno dei tanti che, come disse di sé Leonardo Sciascia, non stavano né con lo Stato né con le Brigate Rosse. Era convinto che i terroristi nostrani fossero quattro criminali senza alcuna speranza di successo, e riteneva che lo spiegamento di forze per fermarli fosse sproporzionato e servisse solo per reprimere l’opposizione sociale al putrescente regime democristiano.
Convinto di questo, vedeva il Generale Dalla Chiesa - capo dell’antiterrorismo - come uno strumento del potere e per questo non gli era particolarmente simpatico. Ma quando, nel marzo precedente, si cominciò a parlare di lui come Prefetto di Palermo con il compito di guidare la lotta alla mafia, come per incanto l’atteggiamento di Francesco cambiò e, come tutti i siciliani onesti, pensò che questa volta lo Stato faceva sul serio e forse, una volta per tutte, ci saremmo liberati del cancro mafioso.»
I successi di Dalla Chiesa nella lotta al terrorismo erano innegabili e non c’era motivo per dubitare, pensavamo, che non si ripetesse nel nuovo incarico. Pensava tutti male, come si è visto e come forse era prevedibile, dato che ben diverso era il male da combattere e il contesto in cui si muoveva il nemico.
Infatti, le BR e soci erano un corpo estraneo non solo allo Stato in sé ma anche a quegli strati sociali di cui si illudevano di essere le avanguardie. La mafia, e le sue consorelle calabrese e campana, invece, erano ben inserite nel tessuto sociale dei rispettivi territori e avevano già iniziato a diffondere metastasi in altre zone d’Italia.
«Non è questa la sede per rievocare le dietrologie sui veri mandanti e tutte le parole vuote e le promesse mai mantenute che ministri e politici di vario rango pronunciarono allora. La realtà di oggi – la mafia diventata LE mafie e non solo Palermo/Sagunto espugnata, ma tutta l’Italia – è troppo deprimente e qui l’Autore vuole solo commemorare un uomo che avrebbe potuto sconfiggere questi parassiti, se gli avessero dato gli strumenti per farlo, e invece è stato lasciato solo e ci ha rimesso la vita.
In un’Italia in cui basta aiutare una vecchietta ad attraversare la strada per essere definiti eroi, il Prefetto Dalla Chiesa - che ha voluto essere da esempio girando senza scorta in una città controllata dal nemico - ha avuto un comportamento che si avvicina molto all’eroismo e anche per questo gli si vuole rendere omaggio».
Citazioni tratte da “Ti ricordi quella strada …” di S.A. Zappalà