Se questa fosse una trasmissione radiofonica le note di “In the mood”, nell’esecuzione di Glenn Miller, aprirebbero questa celebrazione del 25 aprile, per ricordare come e in che modo ci si è arrivati.
Perché “In the mood”?
Perché le musiche di Glenn Miller costituiscono la colonna sonora della liberazione dell’Europa occidentale dall’occupazione nazista, e infatti, come abbiamo visto in tanti film e documentari su quei giorni, la gioia di vivere dei sopravvissuti - manifestata con balli e festeggiamenti in onore dei liberatori - dovunque, in Italia, in Francia e negli altri paesi liberati dagli angloamericani, ebbe come sottofondo musicale “In the mood”.
Ma c’è un motivo più importante: che ci piaccia o no, senza gli americani non ci sarebbe stata liberazione.
Si è letto che la sconfitta della Germania nazista è stata resa possibile dai soldi degli americani e dalla carne russa, intendendo per carne i quasi dieci milioni e mezzo di soldati russi (contro i 405.000 americani), morti nei cinque anni che vanno dall’inizio dell’Operazione Barbarossa, l’occupazione dell’Unione Sovietica da parte degli eserciti di Hitler, alla caduta di Berlino.
Sarebbe ingiusto, dunque, non riconoscere il grandissimo contributo dato dai loro due maggiori alleati, la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica, però senza il sostegno degli Stati Uniti, senza i rifornimenti di materiale bellico e derrate alimentari forniti senza interruzione sia ai britannici che ai sovietici, entrambi i popoli, di fronte alla potenza delle armate tedesche, probabilmente avrebbero ceduto alle lusinghe di una pace separata.
Non bisogna dimenticare, però, che il merito della vittoria è di coloro che l’autore considera i due più importanti uomini politici del ventesimo secolo: il Presidente americano Franklin Delano Roosevelt e soprattutto il Primo Ministro inglese, Sir Winston Churchill.
Il primo per avere vinto l’apatia e l’ostilità della maggioranza degli americani, contrari all’entrata in guerra del loro paese.
Il secondo per essersi ostinatamente opposto a quei suoi connazionali che - stremati dai bombardamenti – premevano per una pace separata.
Reso questo doveroso riconoscimento, parliamo della nostra Liberazione, coronamento di quell’impegno corale di gran parte degli italiani, che chiamiamo Resistenza.
Nella narrazione comune, la lotta di liberazione viene fatta iniziare dopo l’otto settembre, ma pochi sanno che non è così: infatti il primo episodio in assoluto di ribellione contro i tedeschi, avvenne prima dell’Armistizio proprio in Sicilia, alle pendici dell’Etna.
Il 3 agosto del ’43 la popolazione intera di Mascalucia insorse contro quelli che erano ancora alleati, ma che cominciavano già a comportarsi da occupanti, razziando mezzi di trasporto e animali.
Episodi simili si verificarono successivamente in altre regioni meridionali, ma la vulgata ha tramandato come inizio della lotta di liberazione la rivolta che portò alla liberazione di Napoli, il 1° ottobre dello stesso 1943, dopo quattro giorni di violenti combattimenti.
L’Armistizio e il conseguente dissolvimento del Regio Esercito, segnarono il passaggio dall’opposizione mormorata al regime, a quella attiva.
Come scrive Mario Tobino, nel suo romanzo “Il Clandestino”, nelle settimane successive all’armistizio, “i cittadini fecero a gara a vestire di panni civili quei giovani che dovevano sfuggire ai tedeschi, si vuotarono in silenzio i guardaroba, si rivestì un esercito; quei giovani furono nutriti, ospitati, nascosti; ogni casa ricca e povera, di qualsiasi tendenza politica, in quei giorni si aprì. A ogni tappa verso le loro case, i militari sbandati trovarono assistenza”.
È superfluo rifare in questa sede la cronologia dei tragici venti mesi che vanno dalla rivolta di Mascalucia alla Liberazione di Milano, avvenuta appunto il 25 aprile.
Ciò che vogliamo, è rendere il giusto omaggio a tutti quei nostri connazionali, giovani e adulti, uomini e donne, combattenti e civili, che silenziosamente o col fragore delle armi, resero possibile dopo venti anni di dittatura la liberazione e poi la ricostruzione dopo le devastazioni della guerra.
E oggi che la guerra devasta ancora una volta una parte dell’Europa?
È giusto e doveroso aiutare gli ucraini a difendere il loro paese e la loro libertà, ma senza dimenticare che oggi, al contrario che nel 1943, esistono armi atomiche in quantità tali da distruggere per sempre l’umanità, dunque … intelligenti pauca.